L’Organizzazione mondiale della sanità ha detto che circa 140mila persone sono morte di morbillo nel 2018

L’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) ha detto che nel 2018 il morbillo ha infettato quasi 10 milioni di persone e ne ha uccise circa 140mila, perlopiù bambini con meno di cinque anni che non erano stati vaccinati.

Il direttore generale ha detto che «la morte di un bambino per una malattia evitabile con un vaccino fa sinceramente indignare ed è un fallimento collettivo».

I dati sul 2019 forniti dall’OMS non sono ancora definitivi ma mostrano una situazione ancora peggiore: i casi sarebbero infatti aumentati di tre volte nello stesso periodo del 2018.

Gli Stati Uniti hanno già fatto sapere che nel 2019 c’è stato il maggior numero di casi degli ultimi 25 anni mentre nel 2018 quattro paesi europei – l’Albania, la Repubblica Ceca, la Grecia e la Gran Bretagna – avevano perso la qualifica di stati senza morbillo dopo che si erano verificati alcuni casi.

Sfida la tempesta per andare a lavoro, muore travolta dalla piena

Ha sfidato la tempesta per andare a lavoro, ma la piena del Bormida l’ha travolta. È morta così una Operatrice socio sanitaria di 52 anni che lavorava nella casa di riposo “Santa Giustina” di Sezzadio, piccolo paese tra Acqui e Alessandria.

Oss uccisa dal Bormida: ha sfidato la tempesta per andare a lavoro

Aveva 52 anni la donna morta travolta dall’onda di piena del fiume Bormida. Viveva a Gramelero, in provincia di Alessandria con il marito e il figlio. E per tutta la vita aveva lavorato con gli anziani.

Era una Oss e tutti i giorni lavorava nella casa di riposo “Santa Giustina” di Sezzadio, piccolo paese tra Acqui e Alessandria. Lo aveva fatto anche ieri mattina. Non poteva sopportare che la sua mancanza potesse mettere in difficoltà le colleghe che con lei erano di turno per accudire gli anziani. Lei amava il suo lavoro – raccontano alcuni di loro al Corriere – Ed era molto apprezzata per come svolgeva le sue mansioni.

Una donna determinata. Talmente tanto da decidere di raggiungere a piedi la casa di riposo. Nonostante il pericolo dell’esondazione del fiume e l’acqua che già le arrivava alle caviglie. Lo aveva detto anche al marito, nella sua ultima chiamata del mattino. Continuo a piedi – gli aveva confidato – Qui è tutto allagato.

Poi si era incamminata sul viadotto chiuso e transennato qualche ora prima dalla protezione civile visto il pericolo imminente di esondazione. A precederla un’altra vettura, una Mercedes Classe A. Le due persone a bordo avevano spostato i cartelli di pericolo e attraversato il viadotto poco prima. La loro auto si era però spenta a causa dell’acqua alta sul ponte bloccandoli di fatto all’interno dell’abitacolo.

L’Oss ha provato a soccorrerli, con la torcia del cellulare in mano ha provato ad aiutarli. La corrente però è stata più veloce di lei. L’ha trascinata via insieme con l’auto sulla quale, in un gesto disperato, aveva cercato riparo.

Per lei non c’è stato nulla da fare. L’auto, recuperata a quasi mezzo chilometro dal viadotto, non le ha dato scampo. I due automobilisti invece si sono salvati. Scesi al volo dalla vettura sono riusciti ad aggrapparsi ai rami di un albero. Hanno visto la piena trascinare via Rosanna sotto i loro occhi. Senza poter fare nulla. Sono poi stati portati in salvo dai vigili del fuoco e trasferiti all’ospedale di Alessandria in ipotermia.

STOP Aggessioni nella Sanità, FP CGIL pubblica il vademecum

La violenza nei luoghi di lavoro è ormai riconosciuta sin dal 2002 come un importante problema di salute pubblica nel mondo (World Health Organization, 2002).

Il National Institute of Occupational Safety and Health (NIOSH) definisce la violenza nel posto di lavoro come “ogni aggressione fisica, comportamento minaccioso o abuso verbale che si verifica nel posto di lavoro”. Gli atti di violenza consistono nella maggior parte dei casi in eventi con esito non mortale, ossia aggressione o tentativo di aggressione, fisica o verbale, quale quella realizzata con uso di un linguaggio offensivo.

Ogni anno in Italia si contano 1200 atti di aggressione ai danni dei lavoratori della sanità, che è come dire che il 30% dei 4mila casi totali di violenza registrati nei luoghi di lavoro riguarda medici infermieri ostetriche, farmacisti… insomma coloro che curano o si prendono cura dei cittadini. E nel 70% dei casi le vittime delle aggressioni sono donne. La classifica dei luoghi maggiormente colpiti dalla violenza nel 2017: al primo posto troviamo i Pronto soccorso con 456 aggressioni, seguono i reparti di degenza con 400, gli ambulatori con 320, gli Spdc con 72 atti di violenza, le terapie intensive con 62, le aggressioni al 118 sono state 41, 37 invece quelle nell’ambito dell’assistenza domiciliare, 20 nelle case di riposo e, infine, 11 nei penitenziari.

Passando alla tipologia di violenza: il 60% sono minacce, il 20% percosse, 2 il 10% violenza a mano armata e il restante 10% vandalismo. Ma chi commette violenza? Il 49% sono i pazienti, il 30% i familiari, l’11% i parenti e un 8% sono gli utenti in generale.

Le fasce orarie più a rischio sono quelle della sera e della notte e, sondando i medici, la percezione di violenza è aumentata secondo il 72% ed è in forte aumento per l’8%.

Di concreto c’è il danno economico: nel 2017 sono state 3.783 le giornate di lavoro perse, in netto aumento rispetto agli anni precedenti con 1.522 giorni di prognosi nel 2014, 2.397 nel 2015 e 3.140 nel 2016. Tradotto in soldi, nel 2017 i danni economici ammontano a 30 milioni a carico del Sistema sanitario nazionale, contro i 12 milioni del 2014.

Gli episodi di violenza nei confronti del personale sono considerati eventi sentinella perché segnalano la presenza che nell’ambiente di lavoro vi siano situazioni di rischio e vulnerabilità che necessitano l’adozione di misure di prevenzione e protezioni dei lavoratori.

Qualunque operatore sanitario può essere vittima di atti di violenza, i medici gli Infermieri e gli OSS sono quelli a più alto rischio perché sono a contatto diretto con il paziente e devono gestire una condizione in cui la componente emotiva è molto vulnerabile sia per il paziente che per i parenti, molto di più se sotto effetto di alcol e droga.

Cosa DEVE fare il lavoratore in caso di probabile aggressione? Ecco il vademecum pubblicato da FP CGIL.

Sonnambulismo, ecco perché ci si ritrova a vagare nel cuore della notte

Plazzi (neurologo): «Non è vero che il sonnambulo non può essere svegliato».

«Una parte del nostro cervello è sveglia, mentre un’altra dorme». È così che Giuseppe Plazzi, neurologo, presidente Aims, l’Associazione Italiana Medicina del Sonno, spiega il sonnambulismo. «Una parasonnia – aggiunge – è un fenomeno atipico del sonno che compare durante la sua fase più profonda».


Età di insorgenza e cause

«Spesso il sonnambulismo si manifesta nell’età pediatrica: più del 15% dei bambini soffre o ha sofferto di sonnambulismo durante la sua vita. Due bimbi su 10 – dice Plazzi – continuano ad avere problemi di sonnambulismo anche da adulti, nella maggior parte dei casi a causa di una predisposizione familiare: i genitori sonnambuli generano, molto frequentemente, figli altrettanto sonnambuli».

Quali sono i comportamenti tipici del sonnambulo?

«Vaga per la sua stanza, si mette alla ricerca di oggetti anche sotto il letto, raggiunge tutti i luoghi della casa, coinvolgendo le altre persone che vivono sotto lo stesso tetto. È raro che il sonnambulo sia aggressivo, per cui – suggerisce l’esperto – la cosa migliore è cercare di tranquillizzarlo, convincendolo a ritornare a letto con dolcezza. La rassicurazione è la cosa più importante: non è vero che il sonnambulo non può essere svegliato. Soprattutto, se si trova in una situazione di pericolo, come ad esempio in cima ad una scala, bisogna essere molto prudenti ed assisterlo».

È possibile accorgersi di soffrire di sonnambulismo?

«Questo disturbo – risponde il neurologo – lascia quasi sempre un’amnesia: è raro che un sonnambulo ricordi la sua esperienza, se non attraverso poche immagini sfumate. Questo perché si svegliano solo alcun zone del suo cervello, come quella motoria e affettiva. È dunque consentito il movimento, ma le aree deputate alla coscienza ed alla consapevolezza restano addormentate. La persona che soffre di sonnambulismo potrà accorgersi al mattino che alcune cose nella stanza non sono più allo stesso posto in cui le aveva lasciate la sera precedente o può addormentarsi nel suo letto e risvegliarsi sul divano, senza sapere né come, né quando ci è arrivato».

Rischi e rimedi

«L’unica conseguenza del sonnambulismo è la sonnolenza diurna, non ci sono altri rischi che possono indurre il soggetto a sviluppare delle patologie correlate. Nello stesso tempo, però, non esistono cure, ma solo trattamenti che possono migliorare la condizione del paziente, come anche la psicoterapia. Attenzione ai farmaci – conclude l’esperto – alcuni possono generare un effetto paradosso aumentando gli episodi di sonnambulismo».


Fonte: Sanità Informazione

Concorsi sanità truccati. Terremoto in Regione Umbria

Arrestati l’assessore alla Salute ed il segretario regionale Pd.

Terremoto quest’oggi nella Sanità Umbra: questo pomeriggio sono scattate le manette per il segretario regionale del Pd dell’Umbria Gianpiero Bocci e l’assessore regionale alla Salute Luca Barberini, stesso provvedimento per il direttore generale dell’Azienda ospedaliera Emilio Duca e per il direttore amministrativo della stessa azienda.

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