Cosa vuol dire isolare un virus

E perché è importante il risultato ottenuto dall’Istituto Nazionale Malattie Infettive “Lazzaro Spallanzani”, anche se non è arrivato per primo.

Domenica 2 febbraio, l’Istituto Nazionale Malattie Infettive “Lazzaro Spallanzani” ha annunciato di avere isolato il nuovo coronavirus (2019-nCoV), che ha causato oltre 360 morti in Cina e 17mila casi di contagio. Agenzie di stampa e media italiani hanno ampiamente ripreso la notizia, parlando dell’Italia come del “primo paese” ad avere isolato il virus. In realtà lo stesso risultato era stato ottenuto nelle settimane scorse da diversi altri centri di ricerca, a cominciare da quelli cinesi. Esserci arrivati prima o dopo non toglie comunque nulla all’importanza del risultato ottenuto dallo Spallanzani, che aiuterà i ricercatori a comprendere meglio le caratteristiche del coronavirus e a testare farmaci e vaccini per contrastarlo.

Che cos’è un virus?
Per farsi un’idea di cosa significhi isolare e sequenziare un virus, conviene fare un breve ripasso di biologia. I virus sono entità biologiche piuttosto semplici e si comportano come i parassiti: hanno cioè bisogno di un altro organismo per moltiplicarsi e prosperare. Le modalità di sviluppo e di trasmissione dei virus variano molto a seconda delle specie, ma in linea di massima seguono questo schema: si intrufolano nelle cellule, ingannando le difese delle loro membrane, e successivamente iniettano il loro codice genetico per modificare il comportamento della cellula e sfruttarla per replicarsi.

La presenza del virus innesca una risposta immunitaria da parte dell’organismo infettato (negli animali), che di solito consente di eliminarlo. Il sistema immunitario serba poi memoria dell’incontro, in modo da impedire al virus di fare nuovamente danni; i vaccini consentono di acquisire questa memoria senza che ci si debba ammalare. Alcuni virus sono però più pericolosi di altri e riescono a causare infezioni croniche, come avviene per esempio con l’HIV.

Cosa vuol dire isolare un virus?
Lo scopo dell’isolamento è ottenere la possibilità di produrre grandi quantità dello stesso virus, in modo da poterlo poi studiare o sfruttare per verificare il modo in cui reagisce con alcuni farmaci.

Un virus viene “isolato” quando è separato dall’organismo infetto iniziale. Semplificando: si prelevano campioni (sangue, tessuto cellulare, urina o altro) dall’individuo interessato e li si trasferiscono in laboratorio, avendo cura che questi non subiscano contaminazioni. Una prima attività riguarda la “pulizia” del campione, un trattamento essenziale per escludere funghi e batteri, che interferirebbero con l’attività virale.

Come abbiamo visto, i virus hanno bisogno delle cellule per moltiplicarsi, a differenza per esempio dei batteri che producono e sviluppano colonie autonomamente. I ricercatori devono quindi trovare il modo di “coltivare” il virus, cioè di indurlo a replicarsi. Possono farlo con tecniche in vivo o in vitro: nella prima si utilizza un intero organismo vivente (come un animale o una pianta), mentre nella seconda tutto avviene su piastre e provette di vetro.

In vitro
Diversi tipi di cellule possono essere impiegati per far crescere e moltiplicare i virus, da un campione di partenza. Si parte di solito da cellule prelevate da un animale, che vengono preparate in una coltura che viene poi messa in contatto con il campione virale. Questa tecnica avvia un fenomeno (adsorbimento) attraverso il quale il virus può intrufolarsi nelle cellule o inserire il suo codice genetico, infettarle e indurle a produrre un gran numero di sue nuove copie.

In vivo
Di solito per la tecnica in vivo si utilizzano embrioni in fase di sviluppo, per esempio nel caso del vaccino influenzale si procede utilizzando le uova fecondate (lo avevamo raccontato estesamente qui). L’embrione o l’intero animale fanno da incubatore per la replicazione virale, utile poi per studiare il virus e le sue caratteristiche.

Studio del virus
Dalle colture in vitro o in vivo si possono ottenere campioni, per poter osservare su una scala più grande gli effetti del virus. Di solito l’osservazione inizia al microscopio per valutare i danni causati dall’infezione. Le cellule colonizzate mostrano anormalità (“effetto citopatico”) come cambiamenti nella forma, anomalie nelle loro membrane e nei nuclei.

E che cos’è il sequenziamento?
In biologia molecolare, il sequenziamento serve per avere una trascrizione dell’ordine delle basi (adenina, citosina, guanina e timina) che fanno parte del frammento di DNA che si sta analizzando (nel caso dei virus è molto spesso l’RNA, una versione semplificata). Nella sequenza sono codificati i geni, e le istruzioni per quando e come devono essere espressi (espressione genica). In generale, se ottieni la sequenza puoi capire il come e il perché della vita di un organismo. Di alcune porzioni di DNA conosciamo già le funzioni, quindi i ricercatori possono mettere a confronto la sequenza che hanno ottenuto con quelle già conosciute, in modo da ricostruire almeno in parte cosa è codificato nel DNA.

Per sequenziare un virus, si esamina un campione prelevato da un individuo infetto e se ne effettua poi l’analisi. Il problema è che in queste condizioni il materiale genetico del virus è confuso con quello della cellula che è stata colonizzata. I progressi raggiunti negli ultimi anni hanno consentito di attenuare il problema e di accelerare i processi di sequenziamento, attraverso i virus isolati.

Le prime righe del sequenziamento del nuovo coronavirus:

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Che cosa hanno fatto allo Spallanzani?
Le ricercatrici Concetta Castilletti, Francesca Colavita e Maria Rosaria Capobianchi nei giorni scorsi si sono messe al lavoro sui campioni prelevati da uno dei due pazienti cinesi, ricoverati presso lo Spallanzani dopo che avevano mostrato sintomi da infezione da nuovo coronavirus. I campioni sono stati poi utilizzati per isolare il virus e coltivarlo, seguendo le procedure di sicurezza per evitare contagi.

Dopo qualche giorno, il gruppo di ricerca ha riscontrato l’effetto citopatico, a conferma del successo nella coltivazione del virus. Non era un risultato scontato, visto che il tasso di successo è di solito intorno al 10 per cento, cosa che rende necessaria la preparazione di più colture alle giuste condizioni ambientali. In Italia è stato inoltre sequenziato il nuovo coronavirus, trovando caratteristiche genetiche analoghe a quelle già rilevate in precedenza da altri centri di ricerca.

Chi ha sequenziato per primo il nuovo coronavirus?
Le prime polmoniti sospette sono state riscontrate a Wuhan, la città cinese epicentro della crisi sanitaria, alla fine del 2019, inducendo diversi centri di ricerca in Cina a effettuare controlli di laboratorio sui pazienti interessati. Il 10 gennaio, a poco più di un mese dal primo caso di polmonite, i ricercatori cinesi hanno annunciato di avere sequenziato il nuovo coronavirus, e hanno reso pubblici i risultati della loro analisi. La rapidità è stata notevole, se si considera che con il coronavirus che causa la SARS i tempi furono molto più lunghi, a testimonianza dei progressi raggiunti negli ultimi anni.

Nelle settimane successive, centri di ricerca in Cina e in altre parti del mondo hanno sequenziato campioni di coronavirus prelevati da altri pazienti, ottenendo informazioni genetiche su una ventina di casi. Il 31 gennaio scorso, l’Istituto Pasteur della Francia ha annunciato di avere isolato il nuovo coronavirus, da campioni prelevati da un paziente cinese infetto ricoverato in un ospedale francese.

OK, ma quindi la storia di essere arrivati primi?
Domenica 2 febbraio, il ministro della Salute Roberto Speranza ha annunciato con grande enfasi, nel corso di una conferenza stampa, l’isolamento del nuovo coronavirus da parte dello Spallanzani, ma non ha detto che l’Italia avesse raggiunto per prima questo risultato. Il gruppo di ricerca ha poi esposto i risultati delle attività svolte presso l’istituto, senza intestarsi alcun primato.

Nel comunicato stampa diffuso dall’Istituto si parlava invece di “primi in Europa”: l’ufficio stampa ha spiegato al Post che il testo era stato scritto nella serata di venerdì 31 gennaio, senza essere al corrente dell’annuncio dell’Istituto Pasteur.

Il nuovo coronavirus, spiegato bene

Tutte le cose da sapere sul virus che in Cina ha causato la morte di oltre cento persone, e che continua a diffondersi tra la popolazione.

A causa del nuovo coronavirus (2019-nCoV), in Cina sono morte oltre 100 persone e sono state ormai segnalate migliaia di casi confermati di persone che si sono ammalate a causa del virus. La situazione continua a essere difficile soprattutto a Wuhan, città della Cina centrale dove alla fine del 2019 erano partite le prime segnalazioni di pazienti con gravi polmoniti, che hanno poi portato alla scoperta del coronavirus. Il governo cinese ha disposto l’isolamento di Wuhan e di diverse altre città, misure che interessano decine di milioni di persone e con lo scopo di ridurre il rischio di nuovi contagi.

Che cos’è un coronavirus?
I coronavirus sono un particolare tipo di virus appartenente alla famiglia Coronaviridae. In generale, i virus sono entità biologiche particolari: non sono esseri viventi veri e propri, ma hanno la capacità di invadere un organismo e sfruttarne le risorse per prosperare e moltiplicarsi, come fanno i parassiti. Per farlo, si legano alle cellule degli organismi, eludono le difese delle loro membrane e si aprono un varco attraverso il quale ne modificano le caratteristiche genetiche.

I coronavirus utilizzano come materiale genetico l’RNA, cioè l’acido ribonucleico: una versione “semplificata” del DNA, che assolve al medesimo scopo di codificare e trasmettere le informazioni genetiche. Questi tipi di virus si chiamano così perché i loro virioni (la parte infettiva) appaiono al microscopio elettronico come piccoli globuli, sui quali ci sono tante piccole punte che ricordano quelle di una corona.

Coronavirus che causa la SARS (Wikimedia)

Le punte sono formate dai “peplomeri”, le strutture proteiche che insieme ad altri meccanismi servono ai virus per attaccarsi alle cellule dell’organismo da infettare. Una volta che si sono legati alle cellule ospiti, i virus rilasciano il loro codice genetico modificando il comportamento della cellula. Questo processo fa sì che si attivi una risposta immunitaria da parte dell’organismo infettato, che cerca di sbarazzarsi del virus (solitamente facendo alzare la temperatura: in pratica viene la febbre).

Ci sono molti tipi di coronavirus?
I coronavirus sono piuttosto diffusi tra varie specie di mammiferi e uccelli: infettano il loro apparato respiratorio e gastrointestinale. Da 60 anni circa, sappiamo che in alcuni casi questi virus riescono a passare agli esseri umani, causando sintomi che variano a seconda delle loro caratteristiche. A oggi sono noti sette diversi coronavirus che possono infettare l’uomo, compreso 2019-nCoV, quello da poco scoperto in Cina. I coronavirus sono spesso tra le cause del raffreddore comune, quindi non sono così rari, ma alcuni sono più aggressivi di altri.

Perché “nuovo coronavirus”?
Viene semplicemente definito “nuovo coronavirus” un coronavirus da poco identificato e le cui caratteristiche non sono ancora completamente note; di solito col passare del tempo viene poi indicato un nome diverso, meno scientifico, con riferimento ai sintomi che provoca.

E che sintomi dà il nuovo coronavirus?
Stando alle informazioni fornite finora dalle autorità sanitarie cinesi e da quelle internazionali, il nuovo coronavirus inizialmente causa sintomi simili a un’influenza: congestione nasale (naso chiuso), mal di gola, spossatezza e febbre. In alcuni casi la malattia progredisce, creando un’infiammazione delle strutture più interne dei polmoni, e in mancanza di cure adeguate o per la presenza di precedenti malattie può rivelarsi mortale.

Un uomo viene portato in ambulanza in ospedale a Hong Kong per il sospetto che abbia contratto il coronavirus che ha provocato i contagi a Wuhan e nel resto della Cina (Anthony Kwan/Getty Images)

Come si trattano i pazienti con nuovo coronavirus?
La prima risorsa per contrastare un’infezione virale è il proprio sistema immunitario, che identifica l’infezione e sviluppa la capacità di contrastare il virus, impedendogli di fare ulteriori danni in futuro. Non esistono cure e i medici possono solamente somministrare farmaci per ridurre i sintomi, o per trattare complicazioni come la polmonite, nel caso in cui si presenti. Qualcosa di analogo avviene già con l’influenza, nel caso di pazienti con precedenti problemi di salute.

Quindi non è così grave?
Nel 2009, la pandemia influenzale da virus H1N1 (febbre suina) causò la morte di circa mezzo milione di persone in tutto il mondo. Ogni anno, a causa delle complicazioni dell’influenza comune, muoiono centinaia di migliaia di persone in tutto il mondo. Il nuovo coronavirus sembra essere più aggressivo e – come tutti i nuovi virus – non deve essere sottovalutato fino a quando non se ne comprendono i meccanismi.

E la SARS che c’entra?
In questi giorni si è parlato spesso di sindrome acuta respiratoria grave (SARS, dall’inglese “Severe Acute Respiratory Syndrome”) in riferimento a ciò che sta avvenendo in Cina. La SARS è probabilmente la malattia più conosciuta legata a un coronavirus: il virus che la causa fu identificato tra il 2002 e il 2003 e porta a un’infezione diffusa del sistema respiratorio. Nel 2003 furono registrati circa 8mila casi di SARS, con un tasso di letalità del 10 per cento, quindi molto più alto di quello attuale per 2019-nCoV. All’epoca la Cina fu duramente criticata, dalla stessa Organizzazione Mondiale della Salute (OMS), per avere inizialmente nascosto le informazioni sui contagi, temendo che notizie di quel tipo potessero danneggiare l’economia in forte crescita del paese.

Chi sta studiando 2019-nCoV?
Centinaia di ricercatori in Cina e in altre aree del mondo stanno studiando le caratteristiche del nuovo coronavirus. A differenza di quanto avvenne con la SARS, le informazioni da parte cinese sono state comunicate con maggiore rapidità all’OMS e, grazie ai progressi tecnologici, il profilo genetico del virus è già a disposizione degli esperti per studiarlo e capire come agisce.

Da dove arriva il nuovo coronavirus?
Con i suoi 11 milioni di abitanti, Wuhan è la più grande città della Cina centrale. Il 31 dicembre 2019, la Commissione Sanitaria Municipale di Wuhan aveva inviato una segnalazione all’OMS, spiegando di avere registrato un certo numero di casi di polmonite con cause ignote. Le indagini avevano messo in evidenza un legame con un mercato di frutti di mare, pollame e altri animali selvatici vivi, ma una ricerca pubblicata sulla rivista scientifica Lancet mette in dubbio questa eventualità (i dati devono però ricevere ulteriori conferme). Una decina di giorni dopo la segnalazione, il Centro per il controllo delle malattie della Cina ha annunciato di avere identificato un nuovo coronavirus, studiando le polmoniti di Wuhan. I tempi di scoperta e segnalazione sono comunque ancora sotto analisi, per capire se si potesse fare prima e meglio.

Perché si parla tanto dei mercati di animali vivi?
In Cina sono molto diffusi mercati in cui si possono acquistare suini, pollame e diverse altre specie selvatiche di animali ritenuti prelibatezze per la cucina locale o utili per la medicina tradizionale, come i pipistrelli. La contiguità tra esseri umani e questi animali, unita alle scarse condizioni igieniche, fa aumentare il rischio che i virus passino da una specie animale agli esseri umani, mutando per adattarsi poi ai nuovi ospiti. Il sospetto è che qualcosa di analogo sia avvenuto in passato, con la SARS, e nelle settimane scorse con il passaggio di 2019-nCoV agli esseri umani, probabilmente proprio dai pipistrelli. Anche per questo motivo, il governo cinese sta lavorando per mettere al bando, o almeno sospendere, le attività commerciali nei mercati di animali selvatici.

Il problema riguarda solo la Cina?
Da sempre i virus circolano e si diffondono in tutto il mondo facendosi dare un passaggio dagli animali che infettano. Un tempo le malattie arrivavano per nave, come avvenne per esempio con la peste nera in Europa nel Trecento, oggi attraverso i viaggi aerei. Il problema non riguarda quindi solo Wuhan e qualche altra provincia della Cina, ma tutto il mondo. Persone provenienti dalla Cina sono risultate infette in diversi luoghi di loro destinazione, come Stati Uniti, Australia, Singapore, Taiwan, Corea del Sud, Vietnam, Canada, Giappone e Francia.

Diffusione del nuovo coronavirus nel mondo (JHU CSSE)

Quanto è contagiosa la malattia?
Attualmente non lo sappiamo con certezza. Il periodo di incubazione, cioè il tempo che passa da quando si viene infettati dal nuovo coronavirus a quando ci si ammala, è in media di 10-14 giorni. Il problema è che secondo diverse segnalazioni si è contagiosi anche nel periodo di incubazione, quindi ancora prima di sviluppare i sintomi. Questa circostanza potrebbe rendere più complicato il contenimento del virus, perché molte persone potrebbero non sapere di essere infette mentre hanno a che fare con altri, o si mettono in viaggio.

Come si viene contagiati?
I coronavirus si possono trasmettere da persona a persona, di solito in seguito a contatti stretti, in famiglia, tra amici, negli ambienti di lavoro e in luoghi molto affollati. Dalle ricerche svolte finora, il primo veicolo di contagio sembrano essere gocce di saliva e di muco da persone infette, con le quali si entra in contatto. La diffusione per via aerea sembra meno frequente, ma anche in questo caso si dovranno attendere altri giorni per avere un numero di casi più significativo da studiare.

Come ci si protegge dal nuovo coronavirus?
Le raccomandazioni delle autorità sanitarie per ridurre il rischio di infezione da 2019-nCoV sono simili a quelle indicate per le altre malattie infettive. Il consiglio è di lavarsi spesso le mani con acqua e sapone (per una trentina di secondi almeno), di starnutire e tossire in un fazzoletto o portandosi l’incavo del gomito alla bocca (in questo modo non si contaminano gli oggetti che si toccano con le mani e, al tempo stesso, non ci si porta nulla alla bocca dopo che si sono toccate superfici che potrebbero essere contaminate). Viene inoltre consigliato di evitare alimenti come frutta e verdura non lavate, bevande non imbottigliate, indicazioni utili soprattutto per chi si trova in luoghi dove è certa la presenza del virus.

Le mascherine servono?
In Cina milioni di persone circolano da giorni con mascherine, di solito di tessuto e simili a quelle che si utilizzano in sala operatoria. Può essere una buona precauzione per le persone malate per ridurre i rischi di contaminazione, mentre non è certo che offrano qualche garanzia in più a chi non vuole entrare in contatto con il nuovo coronavirus. Gli esperti consigliano soprattutto di lavarsi spesso le mani e di evitare di portarsele alla bocca o di toccarsi gli occhi, senza averle lavate prima.

Una stazione di Wuhan il 22 gennaio (Xiaolu Chu/Getty Images)

Come si contiene il virus su larga scala?
La prevenzione, tramite il controllo delle infezioni e dei luoghi in cui si sono verificate, è alla base dei sistemi per prevenire la diffusione di un nuovo virus. L’obiettivo principale è fare in modo che 2019-nCoV si diffonda il meno possibile dalle aree della Cina in cui c’è il maggior numero di contagi. La città di Wuhan e diversi altri centri urbani sono stati posti sotto isolamento, ma non è chiaro se misure così drastiche siano utili, a distanza di settimane dai primi contagi. Un problema è dato dalla quantità crescente di persone che arrivano negli ospedali con i sintomi della malattia: devono essere messe in isolamento e mantenute in questa condizione se si conferma che hanno il nuovo coronavirus. A Wuhan non ci sono posti letto a sufficienza negli ospedali, e anche per questo è in corso la costruzione di un nuovo grande ospedale prefabbricato.

E nel resto del mondo?
Il primo punto di accesso della malattia fuori dalla Cina sono gli aeroporti, quindi i controlli sono eseguiti soprattutto sui voli in arrivo dalle città cinesi. Le procedure, che variano a seconda dei paesi, prevedono solitamente l’ingresso del personale sanitario sugli aerei appena atterrati dalla Cina: utilizzando tute isolanti, gli addetti rilevano la temperatura dei passeggeri e valutano l’eventuale presenza di altri sintomi. È in questo modo che sono stati identificati i casi fuori dalla Cina, e che si sono per ora evitati successivi contagi. Le limitazioni agli spostamenti da parte del governo cinese stanno inoltre favorendo una riduzione dei flussi di cittadini cinesi verso l’estero.

In Europa chi se ne occupa?
Naturalmente i singoli stati membri, che si coordinano con il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC) dell’Unione Europea. Nella sua ultima valutazione del rischio, l’ECDC ha definito “alto” il potenziale impatto di una epidemia da 2019-nCoV, definendo probabile una diffusione del virus su scala globale. Il rischio maggiore è dovuto alle persone che sono arrivate da Wuhan e da altre aree della Cina interessate dal problema prima che fosse noto il virus, mentre è più basso per chi arriva ora, considerati i maggiori controlli.

E in Italia?
Da e per l’aeroporto di Roma Fiumicino ci sono solitamente voli diretti con Wuhan, e diversi altri non diretti. La situazione viene tenuta sotto controllo negli aeroporti dagli Uffici di Sanità Marittima, Aerea e di Frontiera (USMAF) e dai Servizi territoriali per l’assistenza sanitaria al personale navigante, marittimo e dell’aviazione civile (SASN), il cui principale lavoro è proprio ridurre i rischi di importazione di malattie infettive.

Gli aeroplani provenienti dalle aree cinesi a rischio sono sottoposti a controlli per rilevare l’eventuale presenza tra i passeggeri di casi sospetti. Nell’eventualità in cui un passeggero abbia sintomi che potrebbero indicare la presenza del coronavirus, è previsto un trasferimento presso l’Istituto Nazionale Malattie Infettive di Roma, con una procedura che garantisca l’isolamento della persona malata.

C’è un vaccino?
La scoperta di un nuovo virus non implica che sia sempre elaborato un vaccino per contrastarlo: molto dipende da quanto quel virus costituisca un rischio e dalla sua capacità di diffondersi. Al momento, la cosa più pratica è contenere il virus riducendo i rischi di nuovi contagi. Le conoscenze sulle caratteristiche del nuovo coronavirus sono via via più precise e non possiamo escludere che, nel caso di una sua grande diffusione, si provveda a elaborare un vaccino, che dovrebbe però poi essere testato e verificato prima di diventare disponibile.

Tutto chiaro, ma c’è da preoccuparsi?
Senza ansie e psicosi. Un nuovo coronavirus non deve essere mai sottovalutato, soprattutto fino a quando non siano note tutte le sue caratteristiche e le modalità in cui muta, per eludere le difese immunitarie. Il numero di casi da 2019-nCoV riscontrato finora è relativamente basso, ma gli esperti concordano sul fatto che continuerà a crescere e che ci potranno essere altri morti. Per ora il virus sembra causare sintomi meno gravi rispetto alla SARS, ma può comunque avere conseguenze serie nelle persone con altri problemi di salute; ci sono inoltre sporadiche segnalazioni di complicazioni anche in soggetti giovani e più in salute che non devono essere trascurate.

In circa un mese, siamo passati da segnalazioni su casi di polmoniti anomale e gravi ad avere un quadro piuttosto dettagliato sul virus responsabile e sui meccanismi che utilizza. Rispetto a casi analoghi del passato, l’accelerazione è stata notevole e consentirà ai ricercatori e alle autorità sanitarie di lavorare meglio, soprattutto al fine di contenere la malattia.