AIFITEC ringrazia i medici, infermieri ed OSS nonché tutto il personale del Grande Ospedale Metropolitano di Reggio Calabria offrendo Colombe Pasquali.

Cinquanta colombe pasquali artigianali prodotte dall’Antica Pasticceria Caridi della nostra città sono state offerte il Sabato Santo al Grande Ospedale Metropolitano di Reggio Calabria.

Le Colombe, quale ringraziamento ed augurio, per tutti i medici, infermieri ed Operatori Socio Sanitari nonché tutto il personale del G.O.M. per l’impegno che in questi giorni gravissimi di pandemia, stanno profondendo a favore della cittadinanza di Reggio Calabria e Provincia.

La Vice-Presidente dell’AIFITEC, Agenzia Internazionale di Formazione ed Istruzione Tecnologica con sedi in Reggio Calabria, Karolina Maria Sangrigoli si è fatta portatrice di tutte le istanze da  parte sia dell’Amministrazione, dei Collaboratore e dei Docenti e degli allievi tutti che giornalmente si sono impegnati e si impegnano nella formazione dei nuovi Operatori Socio Sanitari.

La Vice-Presidente, Karolina Maria Sangrigoli ha rimarcato l’importanza di avere un Grande Ospedale che sia forza propulsiva della Sanità in Calabria, sottolineando come: “ medici, infermieri ed Operatore socio sanitari del GOM, in questo periodo, siano stati presenti nell’assistenza sanitaria ai cittadini, senza soste, anche con turni massacranti, ben oltre gli orari previsti, per abbattere questo virus da pandemia. Ed a riprova di ciò -ha continuato la Vice-Presidente AIFITEC – che i nostri sanitari reggini siano in effetti un’eccellenza basta guardare i risultati ottenuti sino ad oggi, con una minima percentuale di utenti in Terapia intensiva ed un alta percentuale in dimessi.”

La Vice-presidente, Karolina Maria Sangrigoli, ha inoltre precisato che questo gesto da parte di AIFITEC è un gesto di piena solidarietà umana e sociale scevro da ogni interesse di parte e personale.

A ricevere le Colombe, prodotte artigianalmente da un’azienda pasticciera- Sorelle Caridi-  che è presente da diversi lustri in Reggio Calabria, è stato il Dott. Santo Laganà, responsabile dell’Ufficio Relazione con il Pubblico del Grande Ospedale Metropolitano di Reggio Calabria.

La Sig.ra Karolina Maria Sangrigoli ha rimarcato come AIFITEC con sedi in tutta la provincia di Reggio Calabria, abbia organizzato proprio in questi giorni di grave pandemia i Corsi per Operatore Socio Sanitario in e-learning sia on line che off-line.

AIFITEC per il socio-sanitario è a disposizione del pubblico sia telefonicamente al numero 334 2686353 – oppure 0965 334972 – ed anche via mail: aifitec@aifitec.net sul sito www.aifitec.eu.

Colombe consegnate al Responsabile del GOM del Grande Ospedale Metropolitano di Reggio Calabria, dott. Santo Laganà.

Il Vice-Presidente dell’AIFITEC, KAROLINA MARIA SANGRIGOLI, sulla destra, alla consegna delle Colombe Pasquali.

Il coronavirus durante e dopo la gravidanza

Quali sono le precauzioni e cosa succede alle future madri malate di COVID-19.

La pandemia da coronavirus sta mettendo sotto forte pressione il sistema sanitario italiano, che oltre a doversi occupare delle migliaia di ricoveri per COVID-19 deve garantire altri servizi essenziali di assistenza, come la gestione delle gravidanze. La presenza di così tanti casi positivi negli ospedali ha reso necessaria l’adozione di nuove precauzioni per tutelare le donne incinte e i loro figli, riducendo inoltre il rischio che il coronavirus sia trasmesso ai nuovi nati anche nel caso in cui la madre sia risultata infetta.

Ricerche
Finora non sono stati prodotti molti studi scientifici sulle gravidanze e la COVID-19. Una ricerca realizzata in Cina, dove è iniziata l’epidemia a fine 2019, non ha evidenziato la presenza del coronavirus (SARS-CoV-2) nel sangue del cordone ombelicale, nel liquido amniotico e nel latte materno. Non ci sono inoltre evidenze circa la trasmissione del coronavirus dalla madre al feto durante la gravidanza: il contagio sembra eventualmente avvenire dopo la nascita, in seguito ai contatti tra madre e figlio.

Le ricerche scientifiche sono ancora poco significative, perché basate su un numero estremamente limitato di casi, e per questo il ministero della Salute italiano ha di recente diffuso una circolare [pdf] agli operatori sanitari, illustrando le pratiche da adottare per ridurre il rischio di contagio madre-figlio, e per tutelare il più possibile la salute delle donne incinte con COVID-19.

Percorso nascita
Il ministero coordina il cosiddetto “Percorso nascita”, fornendo indicazioni e linee guida alle aziende sanitarie locali che si occupano poi concretamente di dare assistenza durante il periodo della gravidanza e del parto. Le prestazioni sono naturalmente garantite anche in questo periodo straordinario, ma con maggiori precauzioni. I controlli periodici, per esempio, possono essere resi meno frequenti a seconda dei casi, in modo da ridurre gli afflussi negli ospedali in un momento in cui sono sottoposti a grandi stress. Meno controlli e verifiche a distanza riducono inoltre i rischi per la futura madre, che può stare alla larga da strutture sanitarie potenzialmente fonti di contagio.

COVID-19 e gravidanza
Le donne incinte che sviluppano sintomi tali da fare sospettare una COVID-19 possono consultarsi con il loro medico curante, che può poi consigliare una visita presso un pronto soccorso ostetrico. L’area deve essere attrezzata in modo da garantire un luogo isolato dal resto della struttura, dove il personale possa lavorare in condizioni di sicurezza con tutte le protezioni individuali del caso.

Per accertare l’effettiva presenza del coronavirus, la gestante viene sottoposta a un prelievo di saliva e muco tramite un tampone naso-faringeo che viene poi testato in laboratorio. La procedura è prevista nel caso in cui la paziente mostri difficoltà respiratorie e provenga da un’area in cui è nota la presenza del coronavirus, oppure nel caso in cui sia stata a stretto contatto con casi certi o sospetti di COVID-19 nelle due settimane precedenti. Il ministero ha inoltre disposto che il tampone sia eseguito: “A tutte le donne gravide con quadro clinico suggestivo di infezione respiratoria che necessitino di ricovero ospedaliero” senza la presenza di altre malattie che potrebbero spiegare le loro condizioni cliniche.

Dopo il prelievo, le pazienti devono attendere l’esito del test nella struttura, che deve garantire l’isolamento. Se l’esito è positivo e viene quindi accertata la presenza di COVID-19, la struttura può disporre il trasferimento della paziente in punti nascita più grandi e attrezzati (“Hub”), nei quali sarà seguita per valutare e trattare l’eventuale evoluzione della malattia.

Parto
Stando alle informazioni finora raccolte dagli ospedali e dai pochi studi scientifici disponibili sul tema, non ci sono motivi per ritenere che il parto cesareo sia da prediligere rispetto a quello vaginale. Il ministero consiglia comunque di valutare le condizioni della paziente prima di fare la scelta, come del resto viene sempre fatto.

Per le madri risultate positive è poi richiesto il prelievo di un campione di placenta e la conservazione degli annessi fetali (membrane ovulari, placenta, cordone ombelicale e liquido amniotico) per eventuali analisi successive. Il neonato deve essere inoltre sottoposto da subito a un tampone naso-faringeo, in modo da assicurarsi che alla nascita sia negativo.

Rapporto madre-neonato
Il rapporto tra madre e neonato nei primi giorni dopo il parto è molto importante, e per questo il ministero consiglia di privilegiare la “gestione congiunta di madre e neonato, ai fini di facilitare l’interazione e l’avvio dell’allattamento materno”.

Nel caso in cui la madre manifesti pochi e lievi sintomi della malattia, gli operatori possono gestire madre e figlio insieme nella stessa stanza. Dovranno accertarsi che la madre rispetti le indicazioni per ridurre al minimo il rischio di contagiare il figlio: lavarsi spesso e bene le mani, indossare una mascherina chirurgica quando allatta. Le stesse precauzioni devono essere applicate nel caso in cui sia necessario il prelievo meccanico del latte o nel caso in cui si faccia ricorso a latte umano donato.

Se invece la madre mostra sintomi più rilevanti della COVID-19, confermata dal test di laboratorio, allora la gestione deve avvenire separatamente in modo da non esporre a rischi inutili il neonato. Gli operatori potranno provvedere al prelievo del latte dalla madre con tiralatte, in modo che non sia interrotto l’allattamento naturale. Non ci sono infatti evidenze sulla possibilità che il coronavirus sia presente nel latte materno.

Le cose naturalmente cambiano nel caso in cui la madre sviluppi sintomi più gravi che rendono necessario l’utilizzo di farmaci, che potrebbero essere passati al neonato. In questo caso il ministero consiglia di ricorrere comunque al latte materno, ma da donatrici.

Neonati positivi
Il coronavirus causa sintomi gravi soprattutto nelle persone anziane, spesso con problemi di salute precedenti, mentre non sembra essere particolarmente rischioso per i più piccoli. Finora i casi segnalati di sintomi importanti nei bambini sono stati estremamente rari. Nel caso in cui un neonato o un lattante risultasse positivo alla COVID-19 e sviluppasse poi sintomi gravi, sono previsti il ricovero nelle unità di terapia intensiva neonatale per aiutarli soprattutto con la respirazione, in attesa che il loro sistema immunitario riesca a tenere sotto controllo il coronavirus.

L’OMS ha dichiarato la pandemia per il coronavirus

Ha quindi riconosciuto che il virus si è diffuso in un’area molto vasta, che coinvolge moltissimi paesi del mondo.

L’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) ha dichiarato la pandemia per il coronavirus (SARS-CoV-2): significa che ha riconosciuto che il virus è ormai diffuso in buona parte del mondo, in aree molto più vaste e diffuse rispetto a quelle solitamente interessate da un’epidemia, che coinvolge zone specifiche di paesi o continenti.

Le parole “epidemia” e “pandemia” riguardano le malattie infettive, quelle causate da agenti che entrano in contatto con un individuo (come i virus, appunto), si riproducono e ne causano un’alterazione.

La differenza tra epidemia e pandemia non ha a che fare con la gravità di una malattia, ma con la sua diffusione geografica. Le malattie infettive, spiega l’Istituto Superiore della Sanità, hanno caratteristiche diverse di diffusione. Alcune sono molto contagiose e altre lo sono meno. In base alla suscettibilità della popolazione e alla circolazione dell’agente infettivo, una malattia infettiva può manifestarsi in una popolazione in forma sporadica, epidemica, endemica o pandemica (“Pan-demos”, in greco, significa “tutto il popolo”).

Il caso sporadico è quello che si manifesta in una popolazione in cui una certa malattia non è sempre presente. Una malattia è invece definita endemica quando l’agente responsabile è stabilmente presente e circola nella popolazione, manifestandosi con un numero di casi più o meno elevato, ma distribuito uniformemente nel tempo.

L’epidemia è la manifestazione collettiva di una malattia, e si verifica quando il numero dei casi aumenta rapidamente in breve tempo e interessa in una particolare area un numero di persone più alto rispetto alla media, per una certa comunità. Gli elementi che portano a un contagio inaspettato e quindi al superamento della soglia di trasmissione possono essere diversi. L’agente infettivo diventa più resistente; varia, cioè si riduce, l’immunità verso quell’agente; oppure l’agente non era prima presente all’interno di una popolazione che dunque si trova ad affrontarlo per la prima volta.

L’OMS parla invece di pandemia quando un nuovo agente patogeno per il quale le persone non hanno immunità si diffonde rapidamente e con facilità in una zona molto più vasta e diffusa rispetto a quella solitamente interessata da un’epidemia. L’OMS identifica sei fasi che portano alla pandemia: una di queste prevede un’area con una presenza di infezioni paragonabile a quella del paese in cui sono iniziati i contagi. I dati che provengono da altre parti del mondo al di fuori della Cina vengono oggi interpretati dall’OMS come significativi di una pandemia.

Tra le pandemie più conosciute nella storia ci fu la cosiddetta “spagnola” che si diffuse tra il 1918 e il 1919, e l’asiatica del 1957.

La differenza tra epidemia e pandemia

E perché per ora l’Organizzazione Mondiale della Sanità non parla di pandemia per il coronavirus.

Ieri il direttore dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), Tedros Adhanom Ghebreyesus, durante il punto sui contagi da coronavirus (SARS-CoV-2) ha detto che al momento non si può ancora parlare di “pandemia”, ma solo di “epidemia”. Qual è la differenza?

Le parole “epidemia” e “pandemia” riguardano le malattie infettive, quelle causate da agenti che entrano in contatto con un individuo (come i virus, appunto), si riproducono e ne causano un’alterazione. La differenza tra epidemia e pandemia non ha a che fare con la gravità di una malattia, ma con la sua diffusione geografica. Le malattie infettive, spiega l’Istituto Superiore della Sanità, hanno caratteristiche diverse di diffusione. Alcune sono molto contagiose e altre lo sono meno. In base alla suscettibilità della popolazione e alla circolazione dell’agente infettivo, una malattia infettiva può manifestarsi in una popolazione in forma sporadica, epidemica, endemica o pandemica (“Pan-demos”, in greco, significa “tutto il popolo”).

Il caso sporadico è quello che si manifesta in una popolazione in cui una certa malattia non è sempre presente. Una malattia è invece definita endemica quando l’agente responsabile è stabilmente presente e circola nella popolazione, manifestandosi con un numero di casi più o meno elevato, ma distribuito uniformemente nel tempo.

L’epidemia è la manifestazione collettiva di una malattia, e si verifica quando il numero dei casi aumenta rapidamente in breve tempo e interessa in una particolare area un numero di persone più alto rispetto alla media, per una certa comunità. Gli elementi che portano a un contagio inaspettato e quindi al superamento della soglia di trasmissione possono essere diversi. L’agente infettivo diventa più resistente; varia, cioè si riduce, l’immunità verso quell’agente; oppure l’agente non era prima presente all’interno di una popolazione che dunque si trova ad affrontarlo per la prima volta.

L’OMS parla invece di pandemia quando un nuovo agente patogeno per il quale le persone non hanno immunità si diffonde rapidamente e con facilità in una zona molto più vasta e diffusa rispetto a quella solitamente interessata da un’epidemia. L’OMS identifica sei fasi che portano alla pandemia: una di queste prevede un’area con una presenza di infezioni paragonabile a quella del paese in cui sono iniziati i contagi. I dati che provengono finora da altre parti del mondo, al di fuori della Cina, indicano un numero ancora relativamente basso di nuovi casi e inducono quindi a qualche prudenza nel parlare di pandemia. Tra le pandemie più conosciute nella storia ci fu la cosiddetta “spagnola” che si diffuse tra il 1918 e il 1919, e l’asiatica del 1957.

Mary-Louise McLaws, esperta nel controllo delle infezioni che ha lavorato come consulente dell’OMS, ha spiegato al Guardian che dichiarare una pandemia non è sempre un procedimento automatico e chiaro, perché i parametri utilizzati possono variare. Non esiste una soglia ben definita, come per esempio un numero preciso di decessi o di contagi, né esiste un numero preciso di paesi colpiti che deve essere raggiunto: spetta alla discrezionalità dei responsabili dell’OMS. Il virus della SARS, identificato nel 2003, non venne dichiarato pandemico dall’OMS nonostante avesse interessato 26 paesi, anche perché la sua diffusione fu contenuta rapidamente e poche nazioni ne furono significativamente colpite.