Il governo manda alle regioni i tamponi, ma a mancare sono sempre i reagenti

Ed è ancora uno dei limiti principali nel fare più test, almeno nelle regioni che non se li producono da soli.

La trasmissione di La7 Piazzapulita aveva chiesto giorni fa al governo quanti test per rilevare il coronavirus sarebbero stati fatti entro la fine di maggio: il governo aveva risposto il 30 aprile di aver già mandato alle regioni 2,7 milioni di tamponi, e che soltanto 2 milioni erano stati usati. Il piano, ha aggiunto il governo, è di mandarne altri 5 milioni nei prossimi due mesi. C’è però un problema: queste forniture sono limitate ai soli tamponi, cioè i “bastoncini” con cui si preleva il campione di saliva ai pazienti, e non comprendono i reagenti chimici necessari per elaborare i tamponi e ottenere il responso sull’eventuale positività al coronavirus.

Lo ha confermato al Post Invitalia, l’agenzia nazionale diretta dal commissario straordinario per l’emergenza da coronavirus Domenico Arcuri, a cui competono le misure di rifornimento di materiali e attrezzature sanitarie. In Toscana, per esempio, sono arrivati dal governo 190.800 tamponi, ma senza i reagenti. Nelle Marche sono arrivati reagenti per qualche migliaio di test, ma erano di una tipologia diversa da quelli in utilizzo e non è stato possibile usarli, ha detto una portavoce della regione.

Il problema, ha spiegato Invitalia, è che ogni laboratorio di analisi dei tamponi ha i suoi macchinari, e a macchinari diversi corrispondono reagenti chimici diversi: «di fatto gli approvvigionamenti sono di competenza regionale, perché è complicato comprare reagenti a livello nazionale per ogni macchinario diverso».

Fin da marzo era emerso che il limite principale nel fare più test per il coronavirus non fossero i tamponi in sé, che non mancavano e non mancano, ma i reagenti chimici che – semplificando molto – vengono usati dai macchinari per “estrarre” il campione dal tampone e poi per “amplificarlo” perché se ne possa ottenere un risultato, positivo o negativo. Come raccontano i responsabili di diversi laboratori lombardi, gli approvvigionamenti scarseggiano a livello internazionale, e le regioni stanno avendo grandi difficoltà a procurarsi quelli necessari. A mancare, nello specifico, sono prevalentemente i reagenti di estrazione.

Per la Lombardia, la regione che più di tutte le altre ha fatto meno tamponi di quanti avrebbe dovuto, la responsabilità degli approvvigionamenti dei reagenti è di Aria, un ente pubblico che tra le altre cose si occupa di ottimizzare le spese per le forniture sanitarie. Pierangelo Clerici, direttore del laboratorio di microbiologia dell’ASST Ovest Milanese, ha spiegato al Post che dopo le grosse difficoltà di marzo e della prima metà di aprile la situazione adesso è un po’ migliorata, anche se prevede future criticità perché la richiesta di reagenti è destinata a rimanere alta nel medio periodo. Ferruccio Ceriotti, responsabile del laboratorio del Policlinico, concorda sul fatto che le cose vadano meglio: «i reagenti adesso arrivano, anche se sempre all’ultimo, sul filo del rasoio».

Giovedì sera a Piazzapulita c’era in studio anche il microbiologo Andrea Crisanti, direttore del laboratorio di Padova e tra i coordinatori della risposta del Veneto all’epidemia, considerata la più virtuosa in Italia. Crisanti ha ricordato che il Veneto non sta soffrendo la mancanza di reagenti. Come aveva spiegato al Post, intorno al 20 gennaio il laboratorio di Padova chiese alla regione l’autorizzazione per avviare la produzione autonoma di 500mila dosi di reagenti per un test «fatto in casa, praticamente identico a quello dello Spallanzani». Con l’acquisto di ulteriori strumentazioni in grado di “miniaturizzare” i reagenti, e che quindi consentono di usarne in quantità molto minori, ora il laboratorio ha a disposizione le dosi per analizzare 2,5 milioni di tamponi. Cioè più di quelli fatti in tutta Italia dall’inizio dell’epidemia.

Ricorrere a reagenti autoprodotti non è però semplice, né sempre fattibile. Ci vogliono laboratori in grado di produrne di certificati e affidabili, e in grandi quantità: non a caso quello di Padova è il più attrezzato in Italia per farlo, ha spiegato Ceriotti, e ha tecnologie superiori a quelle in dotazione ai laboratori lombardi. I virologi poi non sono spesso d’accordo sull’affidabilità dei test autoprodotti: se non si riesce a garantirne la qualità come a Padova, hanno spiegato diversi virologi dei laboratori lombardi al Post, è meglio ricorrere a quelli “ufficiali”, prodotti dalle aziende internazionali di biotecnologie per i loro macchinari.

Altri la pensano un po’ diversamente: «se c’è uno sbaglio di uno ogni mille, in un’epidemia quello che conta sono i numeri: che qualcuno sfugga sta nella logica dei grandi numeri. Se non si fanno i tamponi perché non si accetta un errore dell’1 per mille si è sbagliato strategia», aveva detto al Post Crisanti.

La mancanza di reagenti, comunque, non è l’unico limite nel fare più tamponi: nei laboratori che li analizzano manca anche il personale per aumentare di molto la quantità di test elaborati, che deve avere almeno in parte una formazione specifica. Ci sono poi anche limiti di strumentazioni: acquistare nuovi macchinari è diventato molto complicato, perché sono perlopiù prodotti all’estero e quindi vengono venduti prioritariamente nei paesi di produzione, nonostante la grandissima richiesta internazionale.

Aumentare massicciamente il numero di tamponi, insomma, non è un meccanismo immediato e in Italia i test elaborati ogni giorno sono effettivamente aumentati: nella prima settimana di aprile erano stati mediamente 35.500 al giorno, nella prima settimana di maggio sono stati in media 57.500 al giorno. La capacità di test italiana è superiore a quella di altri paesi europei che stanno facendo grande fatica ad aumentare il numero di tamponi: per esempio al 26 aprile erano meno di 550mila in Francia (e 1,76 milioni in Italia), mentre al 2 maggio erano 1,35 milioni in Spagna (e 2,1 milioni in Italia). C’è anche però chi ne sta facendo assai di più: il Regno Unito, anche se complessivamente è più indietro, nell’ultima settimana ha tenuto una media di quasi 73mila test elaborati al giorno. La Germania ha tenuto per tutto aprile una media intorno agli 80mila tamponi al giorno.

Cosa c’è nel decreto del governo sul coronavirus

Le scuole saranno chiuse fino al 15 marzo, le altre misure resteranno in vigore fino al 3 aprile

Mercoledì sera il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ha firmato un decreto del governo con le «misure per il contrasto e il contenimento sull’intero territorio nazionale del diffondersi» del coronavirus (SARS-CoV-2). Il decreto rimarrà in vigore fino al 3 aprile. Il testo completo si trova sul sito del governo, qui.

Com’era già stato comunicato nel tardo pomeriggio, le lezioni nelle scuole e nelle università saranno sospese in tutta Italia da giovedì 5 marzo fino al 15 marzo. Le scuole e le università continueranno a rimanere completamente chiuse solo nella cosiddetta zona rossa, quella per i comuni del Veneto e della Lombardia per cui è stato deciso l’isolamento (la sospensione delle lezioni non significa che le scuole saranno chiuse: resteranno accessibili a docenti, dirigenti e personale amministrativo).

Il decreto prevede «la possibilità di svolgimento di attività formative a distanza». Le scuole sono infatti invitate ad attivare «modalità di didattica a distanza avuto anche riguardo alle specifiche esigenze degli studenti con disabilità». Saranno inoltre sospesi «i viaggi d’istruzione, le iniziative di scambio o gemellaggio, le visite guidate e le uscite didattiche».

Il decreto precisa anche che «sono esclusi dalla sospensione i corsi post universitari connessi con l’esercizio di professioni sanitarie, ivi inclusi quelli per i medici in formazione specialistica, i corsi di formazione specifica in medicina generale, le attività dei tirocinanti delle professioni sanitarie, nonché le attività delle scuole di formazione attivate presso i ministeri dell’interno e della difesa».

Il telelavoro – o smart working – potrà essere applicato dai datori di lavoro a ogni rapporto di lavoro subordinato.

Gli eventi e le competizioni sportive saranno consentiti solo senza pubblico, ad eccezione della zona rossa, dove continueranno a essere vietate completamente. Si potrà fare sport nelle palestre, nelle piscine e nei centri sportivi a patto che sia possibile consentire una distanza personale di almeno un metro.

Lo stesso vale per «le manifestazioni, gli eventi e gli spettacoli di qualsiasi natura, ivi inclusi quelli cinematografici e teatrali»: sono consentiti solo quelli che permettono di mantenere tra le persone la distanza di sicurezza di un metro.

Il decreto stabilisce anche misure informative e di prevenzione dirette alle scuole, agli operatori sanitari, alle amministrazioni pubbliche e ai singoli cittadini. Indica infine alcune misure igienico-sanitarie da rispettare, che sono quelle prescritte dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS): lavarsi spesso le mani ed evitare di portarle al viso; starnutire o tossire in un fazzoletto o nell’incavo del gomito; evitare abbracci, strette di mano e contatti fisici; non scambiarsi bicchieri e bottiglie; pulire le superfici con disinfettanti a base di cloro o alcol; indossare la mascherina solo se si sospetta di essere malato o si assistono persone malate.

Quota 100, Inps pubblica le circolari applicative

Come si accede alla pensione quota 100


A seguito della pubblicazione del Decreto Legge 28 gennaio 2019, n. 4 (Disposizioni urgenti in materia di reddito di cittadinanza e pensioni), con le circolari n. 10 ed 11 del 29 gennaio 2019 l’Inps ha fornito le istruzioni applicative in materia di accesso alla pensione anticipata, alla “pensione quota 100”, alla pensione “opzione donna”, alla pensione in favore dei lavoratori cosiddetti precoci, nonché in materia di assegni straordinari dei fondi di solidarietà e di prestazioni di accompagnamento alla pensione.

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Legge di Bilancio in Gazzetta Ufficiale. Ecco le principali norme che riguardano la sanità

La soddisfazione del ministro Grillo: «Molte novità importanti per la sanità, che porteranno servizi migliori per i cittadini».

Iandolo (Cao) sulla nuova disciplina della pubblicità sanitaria: «Quando si parla di salute, il cittadino non deve essere lasciato in balia di messaggi suggestivi, incompleti e contraddittori, quando non palesemente ingannevoli»

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