Il coronavirus durante e dopo la gravidanza

Quali sono le precauzioni e cosa succede alle future madri malate di COVID-19.

La pandemia da coronavirus sta mettendo sotto forte pressione il sistema sanitario italiano, che oltre a doversi occupare delle migliaia di ricoveri per COVID-19 deve garantire altri servizi essenziali di assistenza, come la gestione delle gravidanze. La presenza di così tanti casi positivi negli ospedali ha reso necessaria l’adozione di nuove precauzioni per tutelare le donne incinte e i loro figli, riducendo inoltre il rischio che il coronavirus sia trasmesso ai nuovi nati anche nel caso in cui la madre sia risultata infetta.

Ricerche
Finora non sono stati prodotti molti studi scientifici sulle gravidanze e la COVID-19. Una ricerca realizzata in Cina, dove è iniziata l’epidemia a fine 2019, non ha evidenziato la presenza del coronavirus (SARS-CoV-2) nel sangue del cordone ombelicale, nel liquido amniotico e nel latte materno. Non ci sono inoltre evidenze circa la trasmissione del coronavirus dalla madre al feto durante la gravidanza: il contagio sembra eventualmente avvenire dopo la nascita, in seguito ai contatti tra madre e figlio.

Le ricerche scientifiche sono ancora poco significative, perché basate su un numero estremamente limitato di casi, e per questo il ministero della Salute italiano ha di recente diffuso una circolare [pdf] agli operatori sanitari, illustrando le pratiche da adottare per ridurre il rischio di contagio madre-figlio, e per tutelare il più possibile la salute delle donne incinte con COVID-19.

Percorso nascita
Il ministero coordina il cosiddetto “Percorso nascita”, fornendo indicazioni e linee guida alle aziende sanitarie locali che si occupano poi concretamente di dare assistenza durante il periodo della gravidanza e del parto. Le prestazioni sono naturalmente garantite anche in questo periodo straordinario, ma con maggiori precauzioni. I controlli periodici, per esempio, possono essere resi meno frequenti a seconda dei casi, in modo da ridurre gli afflussi negli ospedali in un momento in cui sono sottoposti a grandi stress. Meno controlli e verifiche a distanza riducono inoltre i rischi per la futura madre, che può stare alla larga da strutture sanitarie potenzialmente fonti di contagio.

COVID-19 e gravidanza
Le donne incinte che sviluppano sintomi tali da fare sospettare una COVID-19 possono consultarsi con il loro medico curante, che può poi consigliare una visita presso un pronto soccorso ostetrico. L’area deve essere attrezzata in modo da garantire un luogo isolato dal resto della struttura, dove il personale possa lavorare in condizioni di sicurezza con tutte le protezioni individuali del caso.

Per accertare l’effettiva presenza del coronavirus, la gestante viene sottoposta a un prelievo di saliva e muco tramite un tampone naso-faringeo che viene poi testato in laboratorio. La procedura è prevista nel caso in cui la paziente mostri difficoltà respiratorie e provenga da un’area in cui è nota la presenza del coronavirus, oppure nel caso in cui sia stata a stretto contatto con casi certi o sospetti di COVID-19 nelle due settimane precedenti. Il ministero ha inoltre disposto che il tampone sia eseguito: “A tutte le donne gravide con quadro clinico suggestivo di infezione respiratoria che necessitino di ricovero ospedaliero” senza la presenza di altre malattie che potrebbero spiegare le loro condizioni cliniche.

Dopo il prelievo, le pazienti devono attendere l’esito del test nella struttura, che deve garantire l’isolamento. Se l’esito è positivo e viene quindi accertata la presenza di COVID-19, la struttura può disporre il trasferimento della paziente in punti nascita più grandi e attrezzati (“Hub”), nei quali sarà seguita per valutare e trattare l’eventuale evoluzione della malattia.

Parto
Stando alle informazioni finora raccolte dagli ospedali e dai pochi studi scientifici disponibili sul tema, non ci sono motivi per ritenere che il parto cesareo sia da prediligere rispetto a quello vaginale. Il ministero consiglia comunque di valutare le condizioni della paziente prima di fare la scelta, come del resto viene sempre fatto.

Per le madri risultate positive è poi richiesto il prelievo di un campione di placenta e la conservazione degli annessi fetali (membrane ovulari, placenta, cordone ombelicale e liquido amniotico) per eventuali analisi successive. Il neonato deve essere inoltre sottoposto da subito a un tampone naso-faringeo, in modo da assicurarsi che alla nascita sia negativo.

Rapporto madre-neonato
Il rapporto tra madre e neonato nei primi giorni dopo il parto è molto importante, e per questo il ministero consiglia di privilegiare la “gestione congiunta di madre e neonato, ai fini di facilitare l’interazione e l’avvio dell’allattamento materno”.

Nel caso in cui la madre manifesti pochi e lievi sintomi della malattia, gli operatori possono gestire madre e figlio insieme nella stessa stanza. Dovranno accertarsi che la madre rispetti le indicazioni per ridurre al minimo il rischio di contagiare il figlio: lavarsi spesso e bene le mani, indossare una mascherina chirurgica quando allatta. Le stesse precauzioni devono essere applicate nel caso in cui sia necessario il prelievo meccanico del latte o nel caso in cui si faccia ricorso a latte umano donato.

Se invece la madre mostra sintomi più rilevanti della COVID-19, confermata dal test di laboratorio, allora la gestione deve avvenire separatamente in modo da non esporre a rischi inutili il neonato. Gli operatori potranno provvedere al prelievo del latte dalla madre con tiralatte, in modo che non sia interrotto l’allattamento naturale. Non ci sono infatti evidenze sulla possibilità che il coronavirus sia presente nel latte materno.

Le cose naturalmente cambiano nel caso in cui la madre sviluppi sintomi più gravi che rendono necessario l’utilizzo di farmaci, che potrebbero essere passati al neonato. In questo caso il ministero consiglia di ricorrere comunque al latte materno, ma da donatrici.

Neonati positivi
Il coronavirus causa sintomi gravi soprattutto nelle persone anziane, spesso con problemi di salute precedenti, mentre non sembra essere particolarmente rischioso per i più piccoli. Finora i casi segnalati di sintomi importanti nei bambini sono stati estremamente rari. Nel caso in cui un neonato o un lattante risultasse positivo alla COVID-19 e sviluppasse poi sintomi gravi, sono previsti il ricovero nelle unità di terapia intensiva neonatale per aiutarli soprattutto con la respirazione, in attesa che il loro sistema immunitario riesca a tenere sotto controllo il coronavirus.

L’OSS E IL PAZIENTE RADIOATTIVO

La presenza di operatori socio sanitari (oss/osss) all’interno di una unita’ operativa complessa di medicina nucleare o in divisioni diverse dove siano presenti pazienti che sono stati sottoposti ad indagini con somministrazione di radioisotopi (pet-scintigrafie -datscan ecc …) Impone ai responsabili di tali servizi e/o divisioni, la necessita’ di fornire elementi e informazioni utili affinche’ l’operatore non venga esposto alle radiazioni emesse dal paziente o dai suoi escreti.

Nel corso di tali indagini infatti, non e’la macchina ad emettere radiazioni, ma lo stesso paziente/utente che proprio per la peculiarita’ del lavoro svolto dall’oss, se non e’in grado di svolgere le sue normali attivita’ di vita (lavarsi, mobilizzarsi, nutrirsi ecc …), necessita di tutto il sostegno ed aiuto dell’operatore che si sostituisce a lui nel quotidiano impegno lavorativo.

E’dunque necessario attuare precauzioni che tutelino l’operatore che si trova a dover gestire tali attivita’.

A tal proposito occorre distinguere l’oss che opera in una u.o.c.di medicina nucleare, da quello che opera in divisioni diverse dove il paziente si trova in regime di ricovero, soprattutto quello alllettato.

Infatti, mentre il primo e’provvisto di dosimetro e sottoposto ai controlli medici previsti dalla normativa, il secondo spesso non sa neppure le regole di base per gestire il paziente radioattivo.

Di seguito sara’riportato uno schema utile a tale scopo cosicche’ si possa avere un quadro piu’ chiaro di come debba procedere nell’espletamento delle proprie attivita’ tale figura.

 

 

OSS/OSSS DI MEDICINA NUCLEARE OSS/OSSS DIVISIONE
Limitare il tempo di esposizione Idem
Aumentare la distanza dal paziente e/o dai suoi escreati Idem
Le urine e/o gli escreati convogliano direttamente dai bagni (zona calda) direttamente in vasche di raccolta Le urine e gli escreati vanno raccolti in contenitori tenuti lontano dagli altri, da chiudere e smaltire dopo 24 h
Indossare DPI di protezione adeguati al tipo di radiazioni Gestire il paziente avendo cura di indossare i DPI così da evitare che possa essere contaminata la divisa abituale
In caso di contaminazione, lavare attentamente e a lungo le mani con acqua e sapone Idem
Accanto al letto del paziente porre un contenitore per rifiuti speciali da utilizzare per smaltire eventuali fazzoletti, stoviglie monouso, medicazioni, sacche delle urine, deflussori, materiali che sono stati a contatto con il paziente
E’ buona regola utilizzare padelle e/o storte contrassegnandole (es. bollino rosso adesivo) che verranno poste lontano dalle altre in uso
Eventuali medicazioni vanno rimosse manipolando il materiale con pinze a manico
Il trasporto del paziente dalla U.O.C. di Medicina Nucleare al reparto di provenienza, va eseguito dall’operatore che avrà cura di mantenere la distanza di un metro specie in ascensore
I parenti del paziente vanno informati sul comportamento da tenere durante l’orario delle visite.

Va vietato l’ingresso alle donne in stato di gravidanza e ai bambini

Sarebbe auspicabile porre il paziente in camera singola o comunque ad una distanza da altro paziente di almeno due metri

 

 

Le precauzioni descritte non devono indurre a facili allarmismi poiché conoscere le corrette procedure si trasforma in comportamenti corretti e rischi nulli sia per l’operatore che per il paziente/utente.

Alla base di ogni gesto deve esserci, sempre, il riconoscere la dignità di chi ci viene affidato affinchè non si senta un pericolo per gli altri e per se stesso.

 

Articolo scritto dalla Dott.ssa Sardella